Inconscio ambientale
Lo sguardo fotografico funziona come un filtro di passaggio che, da strumento meccanico che coglie la realtà esterna, può tradursi in catalizzatore e sintetizzatore di una realtà del tutto interiore. In che modo poi l’occhio della macchina, in altre parole l’obiettivo, sia in grado di operare questa riduzione è qualcosa che occorre indagare nelle intenzioni dell’occhio fisico e mentale dell’artista, che opera e completa la reazione dell’intero processo in atto. Marco Mazzi, fotografo e artista, ha scelto di mettere a confronto la dialettica della luce, ontologia dell’immagine fotografica, con il consolidato universo percettivo del linguaggio pittorico, attingendo non solo dalla tradizione occidentale, ma soprattutto dalla sensibilità estetica orientale. Inconscio ambientale, infatti, presenta una selezione di scatti che l’artista ha realizzato in Giappone, immergendosi in un panorama visivo estraneo e lontano, tuttavia intuito e subito rielaborato come familiare. Quello che osserviamo non è il frutto di fotomontaggi costruiti a posteriori, ma immagini realizzate con la tecnica della multipla esposizione in fase di scatto, nate cioè nell’attimo stesso dell’escursione, senza cedere al minimo ripensamento, dato fondamentale per comprendere la natura dell’intero processo del lavoro dell’artista. Si tratta di ambienti in cui l’inconscio sembra aver rovesciato i dati casuali, gli stimoli e i condizionamenti suggeriti e raccolti, o meglio, colti in una dialettica continua fra agenti esterni e dati sensibili del tutto personali. Ciò che queste immagini rappresentano è il paesaggio estemporaneo e sovrapposto di una realtà sperimentata in modo soggettivo e che non vorrebbe essere osservata in modo oggettivo. È proprio dell’estetica giapponese, infatti, il considerare la bellezza come qualcosa che, sorgendo dalle realtà della vita, costringe a interrogarsi sulla natura più profonda ed essenziale di queste realtà. Una delle caratteristiche del pensiero estetico tradizionale giapponese è la tendenza a stimare maggiormente la rappresentazione simbolica della realtà piuttosto che la sua descrizione realistica, cercando in esse non la mimesi ma le qualità esistenti sotto la loro superficie esteriore. Osservatore silenzioso e onnivoro, in questo progetto Mazzi esprime tale percezione estetica, e traduce il visibile in un invisibile esistente, in cui le forme, pur nascendo da uno stimolo materico e da un’osservazione degli ambienti quotidiani, si nutrono esclusivamente dell’entità fisica ma impalpabile della luce che entra nei luoghi, definendo il clima e lo stato interiore di chi li abita. L’effetto, infine, è frutto di un’intenzione intellettuale, che suggerisce di entrare in queste immagini completamente reinventate dallo sguardo fotografico, per farne uno spazio esclusivo e tutto personale di riflessione. (Erica Romano)
Marco Mazzi (Firenze 1980) è un artista multimediale. Laureato in Letteratura italiana moderna e contemporanea, è stato responsabile dal 2008 al 2012 della programmazione dell’associazione Relational Cinema Association, con sede presso l’Università di Waseda di Tokyo. Ha esposto in vari musei e gallerie in Italia e all'estero, fra cui il 798 Art District di Beijing, il Watari Museum di Tokyo e il Centro Luigi Pecci di Prato. Ha lavorato come fotografo di scena per il progetto Albanian Trilogy di Armando Lulaj, in mostra nel 2015 alla Biennale d’arte di Venezia (padiglione Albania, a cura di Marco Scotini).