Bestiarius immaterialis - Orso
Leggendario spirito della Caccia.
Le grosse zampe ne acuiscono il fascino terrificante. Protuberanze, acuminate e potenti, che tentarono la fuga o corsero contro altri esseri, e toccarono l’acqua e il muschio e la terra e le erbe e spezzarono rami. Scapparono dal cacciatore quelle zampe possenti, ghermirono pesci immersi nell’acqua dolce, sul letto del fiume, incuranti, incoscienti: morsi ancora vivi. Morti.
Nei boschi, in cui il primo Homo sorvolava il muschio sulle ali dell’istinto, Orso fu fratello, perché allora potevano capirsi. I versi di tutti quegli Adamo sparsi per il globo erano vicini, prossimi ai rugli dell’animale, comprensibili; e quel pelo fitto s’assomigliava a quello di Homo, che, però, s’apprestava ad allontanarsi da Orso, a distinguerlo, ad arginarlo e a cacciarlo nella riserva naturale della Vita, offerta, nella sua interezza, all’unica specie votata alla folle, egoista ricerca d’imperio sul tutto: Homo.
Già trovava il modo, quel plagiatore, di rubare il miele durante la dolce e dolorosa caccia all’alveare.
Il rito sacro: la sinergia tra gli esseri.
Non rubare: il comandamento primigenio.
E poi arrivò il momento della carne, e dove un tempo Homo poteva assopirsi sul dorso del fratello, adesso Caino desiderava il sangue di Abele, e di Adamo e di Eva, e le ossa delle bestie appese al collo, in ordine su un filo, ricavato da una nerbatura d’albero. E in un attimo tutto si taglia, si sfrange e diventa un macinato carnoso compatto a forma di cono, che gira su se stesso, attorno al baricentro di metallo scadente, lega artificiale.
Si dice che corsero contro il cacciatore, ma avevano animo morbido e rivolto alla Verità.
Non potevano vincere, non poterono sopravvivere nell’inferno di Homo, il dominatore, sovrano di tutto.