"ED WOOD"
L'omaggio, da parte del regista Tim Burton, ad uno dei più "scomodi" quanto discutibili cineasti di tutti i tempi: "Ed Wood" è un "biopic" romanzato (senza però scadere nell’ingombrante falsità storica, come spesso accade per questo genere cinematografico di cui nutro sempre dei sospetti, e che non amo particolarmente, ma questo è un mio problema…) di una delle figure più strambe e per certi versi "anticonformiste" della settima arte. Sto parlando ovviamente di Edward Wood jr, Il padre putativo dei così detti "b-movie" e maestro indiscusso del "brutto cinema", insignito del titolo onorario di "peggior regista di tutti i tempi". Ovviamente, non è così: certamente, è stato un regista che definire tale risulta un’affronto, perchè ha realizzato film (davvero) di infimo livello sia tecnico che registico, ma la sua fama è, almeno in parte, immeritata, nel considerarlo il "peggiore". Perchè sono stati realizzati (e vengono realizzati) film di una bruttezza inconsolabile, ve lo assicuro, senz'altro peggiori di quelli fatti dal buon Wood Jr, che se non altro aveva grinta e fantasia da vendere. Nel tempo è stato però riscattato, anche rivalutato, sempre nei limiti che ogni rivalutazione può portare, ed il film di Tim Burton ne ripercorre le tappe più salienti, in un lasso di tempo (dal 1953 al 1959) dove ha realizzato, nell'ordine, "Due vite in una (Glen or Glenda)", "La sposa del mostro", e il celebre "Plan 9 from outer space". Non sto qui a scrivere su Edward Wood, perchè sappiamo che era un cineasta senza talento o qualsiasi bravura, la cui incapacità di girare è diventata leggendaria: era talmente negato da essere, la sua, quasi una virtù, ma proprio qui, nel volerlo omaggiare, che Burton crea la magia di un film che non ti aspetti, uno dei suoi migliori, forse anche dei più sinceri. Il film racconta, in un bianco e nero suggestivo, la storia di un uomo che voleva "solo" riscattarsi grazie alla passione che nutriva verso il mondo della settima arte, senza però averne l'abilità per farlo: un fallito, si direbbe, però mai sconfitto, che non si era mai arreso anche davanti alla verità dei fatti.
Questo era, in fin dei conti, Edward Wood Jr., è il geniale e poetico Burton lo racconta con passione cinefila e, soprattutto, profondo rispetto: non lo celebra come un genio incompreso, perchè non lo era, ma con la tenerezza e la simpatia di un novello Don Chisciotte, folle nella sua ostinazione, al più come uno dei tanto amati "freaks". Certo, la sua inettitudine era palese, e sembrava che faceva di tutto per non nasconderla, cercando sempre la maniera di sfangarla, di portare a termine, nel peggiore dei modi possibili, i film che realizzava con budget irrisori e tanti problemi produttivi. Non sprecava pellicola, non rigirava mai una scena, costruiva come poteva (male, per non dire malissimo) set con miseri mezzi e scritturava attori che definirli tale era un'offesa alla categoria. Ma si sta parlando di Ed Wood, e questa era la sua idea di fare cinema: grazie al film di Burton, abbiamo potuto ri/scoprire chi c'era dietro, l'uomo e l'artista (artista?), che malgrado tutto è stata una di quelle figure emblematiche, capace di suggestionare l'immaginario di vari cineasti, i quali si sono formati a visionare i suoi deliri horror/fantascientifici. Fra cui c'era, appunto, Tim Burton, che, nel 1994, ha deciso di omaggiarlo con questa pellicola biografica, così da "consacrare" un regista senza particolari virtù, ma d'interesse almeno iconico e, perchè no, culturale (ed in fondo, cusate la provocazione, mi chiedo, pensando a Wood, cosa significa mai la parola "cultura", con cui tanti, troppi si riempiono la bocca?). Quindi si, il “biopic” in questione celebra un regista che, a dispetto di quello che ne possiamo dire, ha fatto a modo suo la storia della settima arte. Burton è partito dall'idea di realizzare un film sulla magia ed il disincanto del cinema visto attraverso gli occhi e la testa di un sognatore, nella storia di un regista e della sua più folle ma sincera ambizione. La ricostruzione della Hollywood del periodo è suggestiva, capace di rievocare atmosfere perdute, di un cinema che non esiste più, ma è soprattutto l'attenzione agli eventi, ai particolari (ad esempio, nelle ricostruzioni dei set, per esempio, davvero impeccabile in ogni elemento), che lo rendono un film meritevole, soprattutto per chi è appassionato e vuole capire e conoscere certi aspetti più in ombra della storia della settima arte. In più, la bravura degli attori, in primis Johnny Depp , che interpreta con accattivante simpatia il regista, seguendo tutto sommato l'idea che Wood fosse, alla fine, una sorta di "freak", alla stregua del vecchio e caro Edward Scissorhands “Mani di Forbice” (il nome suggerisce qualcosa? fra Ed ed Edward il passo è breve…), quindi, anche Wood entra di diritto nella galleria dei suoi feticci (sappiamo che Tim Burton è sempre stato un estimatore dei perdenti, così come degli emarginati, degli incompresi, che sono protagonisti costanti delle sue novelle "dark"). Colpisce per esempio, l'attenzione verso il privato di Wood Jr, le sue storie d'amore, e quella passione/ossessione nel vestirsi con abiti femminili (viene da citare, a proposito, una delle scene clou del film, l'incontro, in un bar, tra Edward, vestito da donna, e sua maestà Orson Wellers, in una chiacchierata di rispetto e confronto tra il cinema alto e quello basso, dimostrando che i problemi sono gli stessi, è diversa solo la forma ma non la sostanza!). Ma è però Martin Landau che ruba la scena, con un'interpretazione da applausi (meritatamente vincitore dell'oscar come attore non protagonista), di un Bela Lugosi, icona dei gloriosi fasti del cinema horror degli anni trenta, ormai stanco e disilluso e prigioniero del ruolo di “Dracula”, sull'orlo della povertà e dipendente dalla morfina, "resuscitato", e proprio il caso di dirlo, da Ed Wood, che lo coinvolse, al tramonto della carriera, nei propri strampalati deliri cinematografici. Poi, certo, ci sono sfumature romanzate (ad esempio l'aver tralasciato gli aspetti più neri della sua biografia, l'alcolismo e la fine della carriera come regista di pellicole pornografiche), forse il finale è troppo "happy ending", la proiezione di "Plan 9" con la consacrazione del regista tra gli applausi scroscianti sembra più un sogno "masturbatorio" che la realtà dei fatti, eppure, malgrado queste sbavature (ma che non sono sbavature), il film resta sempre una bella visione, ed è capace di emozionarci come il miglior Burton sa fare, forse in maniera un po' “ricattatoria”, per consacrare alla gloria un perdente ostinato a voler fare film come voleva lui, ma senza saperli fare. E' gli perdoniamo queste ambizioni a Ed Wood, anche perchè malgrado tutto, sono uno che apprezza le sue pellicole, consigliandole di vederle, anche per semplice curiosità cinefila. Quindi, pure se con "forzature" e facili "caratterizzazioni", il film resta una lettera d'amore non solo ad un reietto autore di b-movie, ma verso un uomo che, sapendo di non sapere, ha combattuto, tenacemente, solo contro tutti, per portare avanti il sogno di una vita..
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